Il Redditometro ha cessato di esistere?

Il Redditometro ha cessato di esistere?

Il Redditometro ha cessato di esistere?

Il Redditometro ha cessato di esistere?

La realtà su uno di quegli strumenti di cui non abbiamo mai capito l’effettiva utilità. Come al solito completa distanza tra teoria e pratica.

Vedremo i numeri tra un po’ dello spesometro e delle comunicazioni periodiche Iva. Come dice anche questo articolo i controlli sensati sono quelli da controlli formali!  Rimane sempre il dubbio: come beccare i nullatenenti che nascondono milioni al fisco?

Ecco l'articolo:

La realtà raccontata attraverso i numeri non ammette controrepliche. Il redditometro, di fatto, non esiste più o quanto meno non è più centrale. A ripensare adesso a tutte le polemiche e alle aspettative (anche di gettito) con cui era nata la versione «2.0» di questo strumento di accertamento viene anche un po’ da sorridere. Voleva essere una sorta di arma definitiva per stanare chi nasconde all’Erario molti più redditi di quanti non disponga. È finito, invece, ad assumere un «carattere sempre più marginale nella complessiva strategia di contrasto dell’evasione fiscale» come ha precisato a chiare lettere la Corte dei conti nell’ultima relazione sul rendiconto generale dello Stato.

Dicevamo dei numeri. Ecco i principali: appena 2.812 accertamenti con un calo del 52% sul 2015 e addirittura di oltre il 92% sul 2012. Quelli che la Corte dei conti definisce «esiti finanziari» si fermano a 2 milioni di euro (il dato, però, è aggiornato al 31 dicembre scorso) nell’ultimo anno. Da sottolineare, comunque, come la maggior imposta accertata si attesti in poco più di un caso su cinque (21%) nella fascia che va da zero a 1.549 euro. E la “grande evasione” (se con questa definizione vogliamo intendere gli importi rettificati a partire da 51.646 euro in su) viene contestata nell’11,5% dei casi. Probabilmente anche per questa ragione – l’evasione scoperta con il redditometro, o meglio con l’accertamento sintetico è in media non elevata – gli accertamenti vengono definiti con percentuali molto simili, e in entrambi i casi con una percentuale vicina al 30%, o per inerzia da parte del contribuente o attraverso uno degli istituti deflattivi del contenzioso tributario. Mentre una quota minoritaria (e nel 2016 è scesa sotto il 10% degli accertamenti emessi) passa attraverso l’impugnazione in Commissione tributaria.

Eppure erano ben altre le attese anche in termini di gettito. Basti pensare che il redditometro rinnovato (ossia quello applicabile dalle dichiarazioni presentate dal 2010 in poi) doveva portare nelle casse pubbliche 741,2 milioni di euro nel 2011, 708,8 nel 2012 e 814,7 milioni nel 2013. Ma i risultati “certificati” dalla Corte dei conti sembrano essere molto distanti da questi obiettivi.

Certo, bisogna mettere subito in chiaro che la lotta all’evasione non si è fermata. Anzi lo scorso anno ha toccato il record dei 19 miliardi anche grazie alla quota “portata” dall’operazione straordinaria rappresentata dalla prima voluntary disclosure (quasi 4,1 miliardi). La strategia, però, è cambiata. A cominciare dalla minore invasività degli strumenti scelti dall’amministrazione finanziaria. Sempre i numeri suggeriscono, ad esempio, che è più redditizio in termini di recupero dell’evasione puntare sui controlli automatizzati (tanto per le imposte dirette che per l’Iva), i quali pur riducendosi in termini numerici (da 6,65 a 5,97 milioni) hanno visto aumentare le entrate di 1,1 miliardi tra il 2015 e il 2016. Questo per rimanere nella fase dei controlli ex ante, ma è chiaro che la strategia avviata con la riforma del ravvedimento operoso in vigore dal 2015 punta decisamente ad anticipare i tempi, anche per evitare di tagliare la filiera del recupero con riscossioni che poi finiscono per rimanere incagliate. Da qui è nata la stagione delle lettere di compliance, che solo da inizio anno ha visto quasi 570mila invii (200mila riguardano i redditi dichiarati nel 2014 in relazione a diverse anomalie che vanno dalla cedolare sugli affitti agli assegni all’ex coniuge). L’anno scorso solo i ravvedimenti indotti dalle lettere hanno portato a incassi per 128,7 milioni di euro su un totale di mezzo miliardo ascrivibile alla voce delle correzioni spontanee dei contribuenti. E il futuro – anche in termini di incassi preventivati – è sempre più connesso agli incroci delle banche dati con le nuove comunicazioni periodiche Iva di fatture emesse e ricevute (spesometro) e liquidazioni ma anche con la fattura elettronica.

Anche per questo il redditometro perde appeal, perché è un tipo di accertamento più lungo e che richiede un doppio contraddittorio. Con il paradosso che le garanzie poste a tutela del contribuente ne hanno frenato l’utilizzo.

Sorgente: Il Fisco dice addio al Redditometro: pochi controlli e pochi incassi

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